Carpi, don Antonio Dotti, parroco della Madonna della Neve, ricorda il terremoto del 2012
CARPI - Sono trascorsi 13 anni dal devastante sisma che, in Emilia-Romagna, ha lasciato cicatrici profonde non solo sugli edifici ma anche nell'animo delle persone.
“Un terremoto, oltre al senso di instabilità, di precarietà e terrore che provoca, svela la fragilità del nostro cuore, che richiede di essere rafforzato. Certamente gli esseri umani possono riparare il tempio di pietre, ma il tempio del cuore solo il Signore lo può sanare”.
Con queste parole don Antonio Dotti sintetizza l’inferno del terremoto che ha rappresentato una prova durissima per la comunità, ma anche un’occasione per scoprire una straordinaria capacità di resistenza e solidarietà. Classe 1974, don Antonio è parroco dal 2020 della Madonna della Neve a Carpi, nel quartiere di Quartirolo. Ma nel 2012, durante il terremoto, si trovava nel delicato passaggio tra la parrocchia di Gargallo e il suo nuovo ministero a S. Pietro in Vincoli di Limidi (Soliera).
“Per 8 anni consecutivi – racconta a unitineldono.it don Antonio, che è anche responsabile del Centro missionario diocesano e assistente generale della zona Scout Agesci di Carpi – ho vissuto da terremotato in un container dismesso, finanziato con il contributo dei fondi dell’8xmille alla Chiesa cattolica, per non lasciare la mia comunità, in quanto la canonica era stata dichiarata inagibile”.
Il ricordo di quei tempi incerti e difficili si riflette nell’emozione che traspare dalla sua voce e dal suo sguardo.
“Abbiamo vissuto momenti dolorosi - prosegue don Antonio - il terremoto ci ha portato via don Ivan Martini, che perse la vita mentre tentava di salvare gli arredi sacri dalla chiesa di Rovereto sulla Secchia. La nostra diocesi è stata la più colpita: tutte le chiese e i monumenti hanno subito danni, costringendoci a ripensare la pastorale. Ma subito si è attivata una straordinaria rete di solidarietà, con gemellaggi tra diocesi, come quello tra Carpi e Senigallia o Avellino, in segno di riconoscenza per l'aiuto ricevuto dall'Irpinia dopo il sisma degli anni '80”.
Durante le estati successive al sisma, don Antonio ha accompagnato i giovani ai campeggi, vivendo con loro un'esperienza di condivisione nel dolore ma anche di rinascita.
“I ragazzi assorbivano la paura che si respirava in famiglia, - aggiunge il don - dove si parlava solo delle scosse. Per ricostruire servivano fondi immediati, che anticipassero i tempi della burocrazia. Un grazie speciale va alle suore vicentine, le Poverelle del Beato Palazzolo, per il loro sostegno prezioso”.
Anche la comunità scout di Carpi ha avuto un ruolo cruciale nell'emergenza. Federico Silipo, all'epoca responsabile Scout Agesci locale, ricorda quei giorni con emozione: “Avevo capi scout rimasti senza casa, ma che nonostante tutto continuavano a servire la comunità. Abbiamo montato tende, distribuito cibo, collaborato con la Protezione Civile. Per mesi abbiamo vissuto nell'insicurezza, ma lo spirito di solidarietà ci ha uniti. L'anno successivo abbiamo iniziato a formarci per essere sempre pronti all'emergenza. Don Antonio ha collaborato con noi come vice assistente scout di Limidi”.
Molte storie di solidarietà sono rimaste nell'ombra: una multinazionale di Mirandola, ad esempio, ha salvato pazienti dializzati dopo il crollo dell'ospedale, mentre la Chimar Q, azienda a conduzione familiare ubicata a Limidi di Soliera, che produce imballaggi industriali e offre servizi logistici, ha visto sgretolarsi i capannoni ma i dipendenti, fortunatamente, sono rimasti illesi nonostante il terremoto sia avvenuto in orari di produzione.
“Siamo riusciti a ripartire con il lavoro, - spiega l’amministratore delegato Marco Arletti, - nella piena consapevolezza che ritornare alla vita normale significava lavorare innanzitutto. La regione con la normativa antisismica ha contribuito notevolmente alla sicurezza aiutando le imprese. Oggi contiamo 600 dipendenti, gestiamo un magazzino ricambi e spedizioni e abbiamo 30 stabilimenti nel centro-nord Italia. Salvaguardare la continuità del lavoro con le misure correlate è la traduzione di sostenibilità: fare impresa significa interrogarsi sul tema della sicurezza sociale, ambientale, di governance. E stiamo lavorando per crescere ancora, affrontare nuove sfide di welfare ed essere vicini ai dipendenti oltre che ai clienti”.
Elisabetta Dotti, sorella di don Antonio e impiegata nell'ufficio tecnico del Comune di Concordia sulla Secchia, ricorda il terremoto come uno scenario di guerra: “Il municipio, la chiesa, le scuole erano inagibili. La provincia di Trento ha dato un contributo essenziale per ricostruire la chiesa e le strutture comunitarie, mentre il Teatro di Concordia è rinato grazie all'aiuto della Città Metropolitana di Torino. Oggi 401 edifici su 415 sono stati ricostruiti”.
Una ricostruzione complessa come sottolinea l'architetta Sandra Losi, direttrice dell'Ufficio diocesano per il patrimonio immobiliare: “I fondi pubblici sono stati destinati soprattutto alle chiese parrocchiali. Contiamo di avviare tutti i cantieri entro il 2026, ma la ricostruzione si concluderà solo a fine decennio. Nel frattempo, utilizziamo le sale comunitarie per le attività pastorali e soluzioni provvisorie in 47 chiese, evitando la dispersione dei fedeli. Andiamo avanti con determinazione”.
A Carpi, come in tutta l'Emilia colpita dal terremoto, la resilienza ha preso il posto delle macerie. Oggi la comunità guarda al futuro, con la consapevolezza che la vera ricostruzione non riguarda solo le case e le chiese, ma anche il cuore delle persone.
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