Lavoratori Mozarc-Bellco in corteo, a Mirandola più di mille persone per dire no alla chiusura
Di Marcello Benassi
MIRANDOLA- E’ un corteo lungo quasi un chilometro, con fischietti, bandiere al vento, cartelloni, bambini e tante donne: una marcia quasi tutta rosa quella di sabato 15 giugno, a Mirandola, organizzata dai sindacati per esprimere la totale contrarietà dei lavoratori e – in fin dei conti, della comunità nel suo complesso– al piano di smantellamento della produzione, imposto dai vertici di Mozarc Bellco.
“Un fulmine a ciel sereno”, esternano da più parti diversi aderenti alla manifestazione, che non sembrano però molto propensi a rilasciare dichiarazioni a mezzo stampa – indiscrezioni lasciano trapelare una direttiva aziendale che avrebbe sconsigliato, ai dipendenti, di confrontarsi con i giornalisti. Ma forse, più delle parole, dicono i cori, gli sguardi, i fischietti: “la Bellco non si tocca, la Bellco è casa nostra”, scandisce la testa del corteo, “non è giusto!”, gridano voci sparse, “vogliamo tutto!”, afferma con veemenza una lavoratrice. E’ la rabbia giusta di chi del proprio lavoro vive ogni giorno, di coloro i quali la ricchezza, la forza, l’orgoglio del nostro elogiato distretto biomedicale, li costruiscono quotidianamente, con la fatica delle proprie braccia. “Lavoro da ventitré anni sul ciclo continuo”, ci confida un’operaia, “devo mantenere – come tante colleghe – la famiglia. La notizia della chiusura ci ha colto di sprovvista, non è giusto!”.
“Siamo qua in solidarietà ai colleghi”, fanno eco due amiche della donna, “lavoriamo per Medtronic, ma nemmeno da noi tira una bell’aria. Ci viene detto che va tutto bene, non crediamo che sia così: il lavoro è diminuito, temiamo che presto ci coinvolga la stessa sorte”. Le preoccupazioni non sono solo per i 350 operai impiegati nella produzione, ma per tutto l’indotto, con il rischio di una crisi sociale e produttiva di impatto devastante sull’intero territorio. E viene, naturalmente, chiamata in causa la politica: “per chiunque vada su a Mirandola, sarà una bella patata bollente!”, chiosa un signore accodatosi alla
manifestazione. “Rivendichiamo l’apertura immediata di un tavolo di confronto, la politica, ad ogni livello, deve attivarsi”, affermano due uomini con le bandiere di CGIL e CISL. Nel frattempo, il corteo, partito dall’ex stazione delle corriere, attraversa i viali cittadini, a suon di slogan e fischietti: “Tu camicia bianca, io maglietta rossa”, porta sulla schiena un manifestante (palese la stoccata ai managers dal colletto bianco, responsabili della chiusura), “Persone, non merci! Il lavoro come mezzo per riaffermare la propria dignità”, recita un cartellone sorretto da un ragazzino, “Non esistono lavori utili e lavori meno utili! Ogni lavoro è indispensabile per chi di quel lavoro vive”, riecheggia poco distante un altro cartello. I manifestanti si arrestano poi sul fondo di Piazza Costituente, dove è tempo degli interventi sindacali e politici.
Apre Alberto Suffritti di Cisl: “siamo quasi duemila persone, tutte qua riunite per affermare il netto diniego all’irricevibile prospettiva della delocalizzazione. Dobbiamo rimanere compatti fino al tavolo di confronto del 9 luglio!”. Tocca poi al sindaco di Mirandola Alberto Greco, che porta la solidarietà dell’amministrazione comunale ai manifestanti: “oggi non è una bella giornata, ma il nostro territorio ha saputo rialzarsi da prove durissime, come il terremoto. Noi, in quanto governo municipale, sapevamo poco di questa crisi, ma siamo al vostro fianco.
Come diceva il Dottor Veronesi, bisogna migliorare sempre”. “Ci eravamo illusi che l’azienda avesse un piano di rilancio
industriale serio”, commenta il candidato alla carica di primo cittadino Carlo Bassoli (PD), “ma così non è stato. In questo frangente, la politica locale ha poco spazio di manovra, ma può cercare di trovare il sostegno del potere regionale e nazionale”. Parla poi la candidata del centrodestra Letizia Budri, che richiama all’unità: “sarò breve, questa è una vicenda che rimanda alla responsabilità di tutti, ciascuno faccia la propria parte per tutelare i lavoratori di Mozarc”. “Si chiama Bellco!”,
contesta una voce isolata dal pubblico. “Certo, Mozarc Bellco”, corregge il tiro la candidata.
Il concentramento infine si disperde, ma si ha l’impressione di essere innanzi al primo capitolo di una vicenda complessa, in cui almeno due colonne portanti del nostro vivere comunitario appaiono minacciate: da un lato, il senso d’orgoglio, di appartenenza, di sicurezza e forza produttiva, legato al distretto biomedicale – autentica locomotiva economica del nostro territorio. Dall’altro, un principio più vasto, legato alla sussistenza prima della Repubblica: in verità, il lavoro inteso come modalità di accesso alla vita democratica, essenza stessa del nostro essere cittadini e parte della società nel suo complesso. Ecco, può darsi che sulla vicenda Mozarc Bellco si giochi una partita grande, che fa appello alla coscienza civile di ciascuno di noi.
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