Nel 2050 un pensionato per ogni lavoratore
Finanze pubbliche e welfare non saranno più sostenibili con il calo delle nascite.
In Italia ogni tre individui in età lavorativa ce ne sono due in età non lavorativa. Secondo alcune proiezioni realizzate dall’Istat, nel 2050 l’attuale rapporto di tre a due, passerà a uno a uno.
Ciò significa che se oggi ogni tre lavoratori due non rientrano nella categoria dei “generatori di reddito”, le previsioni sono che tra ventisei anni per ogni lavoratore ce ne sarà uno che non genererà alcun reddito, e quindi non contribuirà ad alimentare il fondo pensioni. Un dato non propriamente confortante, considerato che i debiti dell’INPS al 2016 nei confronti dello Stato ammontano a 125 miliardi di euro.
Se ci azzardiamo a proseguire oltre, fino ad arrivare ad una proiezione che tocca i cinquant’anni, l’Istat, nell’ipotesi neppure peggiore, prevede che entro il 2070 la popolazione calerà di undici milioni di individui nella fascia lavorativa.
Il processo di invecchiamento per l’Italia rappresenta un fardello che peserà sulla crescita economica. Come emerso dalla relazione annuale di Bankitalia, in soli pochi anni, dal 2019 il numero di persone convenzionalmente definite in età da lavoro (tra i 15 e i 64 anni) è già diminuito di quasi 800mila unità.
L’impatto sull’economia
Dal punto di vista economico Gian Carlo Blangiardo, docente di Demografia presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, ed ex Presidente dell’Istat, afferma che nel prossimo ventennio il PIL potrà subire un calo del 18%, passando dai 1.909 miliardi di euro del 2022 a 1.565 miliardi nel 2042, con un calo della popolazione attiva di 10,7 punti percentuali (dal 65,3% attuale al 54,6% futuro).
Continua Blangiardo: “il rischio economico grave di un grande Paese, che deve affrontare un nodo culturale profondo, quello che vede la difficoltà, o la resistenza dei figli a diventare genitori”.
Nella fascia d’età 30-34 anni, in Italia ogni tre giovani autonomi ce ne sono due che non lo sono, e che gravano sulle finanze dei genitori. Nel 1991 il rapporto era di quattro a uno.
Tra giovani che faticano ad entrare nel mercato del lavoro, ed una popolazione che tende sempre più ad invecchiare, il rapporto tra entrate derivanti dalle tasse sui redditi e le uscite per l’erogazione delle pensioni, diminuirà significativamente, spostando ulteriormente l’età dell’uscita dal lavoro.
Le riforme delle pensioni degli ultimi anni ce ne stanno dando conferma. Sui posti di lavoro primeggiano gli over sessanta. Se continuiamo così arriveremo a trascorrere i nostri settant’anni in azienda, invece che in riva al lago con una canna da pesca in mano. Le colpe, se così possiamo definirle, non sono soltanto causate dai fenomeni demografici, ma vanno ricercate anche, e soprattutto, in politiche disastrose applicate nei decenni scorsi. Va ricordato che negli anni ’70 ed ’80 si andava in pensione a 50 anni. Addirittura imperava il fenomeno delle “baby pensioni”, riconosciute a “vecchi” quarantenni.
Secondo l’ “Ageing Report 2021” della Commissione Europea, in Italia la spesa pubblica in pensioni è stimata in crescita di quasi 2 punti percentuali, dal 15,4% del Pil nel 2019 al 17,3% nel 2045.
Il contributo degli immigrati all’economia italiana
Il problema demografico potrebbe essere risolto, almeno in parte, dai fenomeni migratori, se la questione immigrazione fosse gestita con politiche di integrazione più efficaci di quelle attuali, e non appannaggio di un certo modo di fare politica a scopi meramente elettorali.
Secondo il rapporto annuale aggiornato al 2023 della Fondazione Leone Moressa di Mestre gli immigrati sono l'8,3% della popolazione italiana, pari a circa 5 milioni di persone. Contribuiscono per 127 miliardi al PIL italiano, ovvero l'8,6% del PIL totale. Versano tasse per 7 miliardi e contributi previdenziali per 11 miliardi, pagando di fatto 640 mila pensioni agli italiani.
Il welfare al contrario
Non essendo l’attuale classe politica in grado di affrontare il problema, la soluzione arriva da Bankitalia.
Secondo i grandi pensatori di Bankitalia, sicuramente di formazione bocconiana, il miglioramento delle condizioni di vita e di salute conseguito negli ultimi decenni, potrà consentire a non poche persone di lavorare oltre il limite convenzionale dei 64 anni, in linea con le tendenze già in atto, sostenute anche dalle riforme pensionistiche.
E’ l’applicazione del welfare al contrario: siccome siamo tutti più giovanili, stiamo bene, andiamo in palestra e viaggiamo pure, possiamo essere considerati delle valide risorse per il mercato del lavoro. Il motto “largo ai giovani” è stato sostituito da “alla larga i giovani”.
Forse ha ragione il Generale Vannacci: il mondo funziona proprio al contrario. Ma non esattamente come pensa lui.
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