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10 Maggio 2025
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In Cina i prezzi dei beni di consumo non crescono.

La Cina è il Paese di Bengodi, dove, a differenza dell’Europa, ed in particolare dell’Italia, i prezzi dei beni al consumo non stanno subendo alcun aumento. Il tasso d’inflazione infatti è pari a zero.

 

Ma com’è possibile? Forse che la Cina è scevra dal meccanismo economico di stampo keynesiano della domanda e dell’offerta? Forse che in Cina esiste un sistema di controllo che regola gli aumenti dei prezzi dei beni di consumo, con meccanismi equilibratori di natura politico-economica? Forse che i cinesi, molto più lungimiranti di noi occidentali - che ormai siamo vocati ad un modello socio-economico individualistico, materialistico e con scarsa capacità di proiezione verso il futuro - hanno sviluppato un modello sociale ed economico così intelligente, da definire una sorta di “patto sociale” (di cui i cinesi sarebbero capaci) in grado di assorbire le conseguenze nefaste delle spirali inflazionistiche, che stanno distruggendo di fatto il potere d’acquisto dei redditi di noi poveri italiani? Potrebbe anche essere. Ma si rischierebbe di scadere nella fantapolitica.

Restiamo per un attimo nella fantapolitica, anzi nella fantaeconomia: nel 2022 l’Italia ha importato beni dalla Cina per circa 2,7 miliardi di dollari, con un aumento rispetto all’anno precedente del 3,4% su base annua, ed esportato per circa 3,6 miliardi di dollari con un aumento rispetto all’anno precedente del 10,5% su base annua. Sul fronte degli scambi commerciali non siamo un partner particolarmente importante per i cinesi, considerando che la Germania, al contrario, assorbe circa il 27% del totale degli scambi con l’Europa, contro lo 0,7% dell’Italia.

La Cina detiene il 4% circa del debito pubblico italiano (con l’acquisto di titoli emessi dallo Stato) ed il 10% del debito pubblico tedesco.

Pertanto un Paese come la Germania dovrebbe gioire di quanto sta accadendo oggi in Cina, contribuendo ad aumentare gli scambi tra i due Paesi, e “costringendo” il Governo di Xi Jinping a continuare a comprare debito pubblico tedesco. In questo modo però rischieremmo effettivamente di cadere nella trappola della fantaeconomia.

Purtroppo, e l’uso dell’avverbio di modo non è casuale, l’unico modo per leggere il fenomeno, dal momento che è complicato comprendere i meccanismi che regolano i comportamenti dei nostri partner cinesi, è quello della deflazione, definibile come “un calo del livello generale dei prezzi”: l’opposto dell’inflazione.

I prezzi in Cina non crescono, e non è una buona notizia. Ciò significa che i consumi sono molto deboli e la ripresa economica tarda ad avviarsi.

Negli ultimi decenni la crescita cinese è stata guidata, per non dire fortemente influenzata, dalla crescita del mercato immobiliare, che vale circa un quarto del PIL del Paese. Il settore negli ultimi due anni è in crisi. Evergrande Real Estate Group, che con 65,4 miliardi di dollari di fatturato (dato 2020) e 123.276 dipendenti (dato 2020) è la seconda azienda di sviluppo immobiliare in Cina, nel biennio 2021-2022 ha registrato una perdita di 81 miliardi di dollari.

La crisi del settore immobiliare ha trascinato l’intera economia cinese in una situazione allarmante, con gravi conseguenze sociali: la disoccupazione è aumentata (soprattutto tra i giovani); le famiglie hanno rallentato i consumi; le imprese hanno diminuito gli investimenti. C’è una situazione di stallo, di attesa, dopo anni di crescita. Per i Cinesi, entrati di recente nel “club” del capitalismo internazionale, rappresenta una novità.

Il governo cinese ha già messo in atto una serie di misure per tentare di rilanciare l’economia: sono state introdotte agevolazioni fiscali per le piccole imprese e la banca centrale cinese ha ridotto i tassi di interesse per incentivare i consumi invece del risparmio.

Dal punto di vista di chi fa i conti ogni mese con notevoli rincari, come in Italia con un tasso d’inflazione del 6,4%, la riduzione dei prezzi potrebbe sembrare una buona notizia: le famiglie spendono meno per comprare le stesse cose di prima, diventando nei fatti un po’ più ricche. Perché allora la deflazione è negativa per l’economia?

Il calo dei prezzi al consumo in Cina, determinato da una riduzione dei consumi, ha messo in crisi le imprese cinesi, che spinte dalla forte crescita economica degli anni precedenti, hanno investito, si sono indebitate, promettendo margini di guadagno coerenti con gli impegni presi nei confronti di investitori e finanziatori. Al calo dei prezzi è seguito un calo dei margini di guadagno, con la conseguente necessità di diminuire i costi di produzione, agendo soprattutto sui costi del personale. Negli ultimi anni milioni di cinesi hanno perso il lavoro, sono diventati più poveri, e hanno perso importanti punti della cosiddetta  “propensione al consumo”, che accompagnata ad una generale sfiducia nel futuro, contribuisce a creare un circolo vizioso che colpisce economia e società da cui è difficile uscire.

Le economie dei Paesi capitalistici necessitano di un equilibrio tra domanda ed offerta di beni e servizi. Una “leggera” crescita dei prezzi dei beni è necessaria alla “nostra” economia, per lo meno così ci insegnano i principali manuali sull’argomento. Occorre però un relativo aumento di stipendi e salari dei lavoratori. In Italia fermi da troppo tempo. La Banca Centrale Europea ha fissato un tasso d’inflazione “positivo” intorno al 2%. In Italia abbiamo superato di poco il 6%.

“È un circolo virtuoso” - ci spiegano gli esperti - che resta tale fino a che l’economia si surriscalda e i consumatori iniziano a domandare più beni e servizi di quanti le aziende siano in grado di produrre”.

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