Il partito dei disillusi e i governi dei migliori
di Andrea Lodi
Governare l’Italia tra opportunismi e politica
La politica ormai da troppi anni non si occupa più di governare il Paese, e quindi di pensare agli interessi degli Italiani. Sembra una frase fatta, tipica dei disillusi della politica nostrana, di quella parte del Paese che ha aderito al “partito del non voto”, il PDNV, che rappresenta quasi il 40% degli aventi diritto al voto. Per la precisione, nella turnata elettorale di settembre 2022, che ha visto imporsi il partito di Giorgia Meloni con circa il 26% delle preferenze, il “partito del non voto” rimane sempre e comunque il primo partito d’Italia con il 39,5% di sostenitori.
L’articolo 48 della Costituzione italiana, al comma 2, riporta: “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”.
L’articolo 54 della Costituzione italiana, invece, ci ricorda che “tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”.
Chi riveste cariche pubbliche ha pertanto il dovere di adempiere al proprio mandato con disciplina e onore. Chi siede in Parlamento, e chi ottiene la delega di governare lo Stato, presta giuramento davanti al Presidente della Repubblica ed alla Costituzione.
Purtroppo stante la situazione attuale, che si è andata affermando ormai da troppi anni, i membri dell’Accademia della Crusca, dovrebbero rivedere le definizioni di “diritti” e di “doveri”.
Gli opportunisti della politica
La maggior parte dei partiti si sono coalizzati all’interno di una sorta di “movimento transpartitico nazionale” (MTN) dove la regola si chiama opportunismo. Sono quelli che hanno più successo. Sono in continua campagna elettorale. Promettono mari e monti, ed ottengono più consensi rispetto a quelli che cercano faticosamente di realizzare riforme e politiche di sviluppo strutturali. Viene premiato, come dice qualcuno, il “catastrofismo dei peggiori”, che serve a confondere le idee, a seminare scontento e a conquistare consensi di pancia, rispetto ai “governi dei migliori”.
A luglio del 2022 alcuni partiti, coalizzatisi all’interno del famigerato MTN, hanno deciso di far cadere il Governo Draghi, in un momento molto delicato per il Paese. Ovviamente i partiti dell’opposizione, coalizzatisi anche loro all’interno dell’MTN, facendo oltretutto credere agli aderenti del PdC (Partito dei Creduloni), che le politiche del Governo Draghi erano fallimentari, sono riusciti a portare il Paese alle elezioni anticipate di settembre.
Ma era il caso? I numeri, ai quali gli aderenti al PdC non credono affatto, dicono proprio di no.
Il governo dei migliori
Già durante il governo Draghi, gli italiani sono stati assaliti da slogan martellanti amplificati dai media, di un’Italia allo sbando, di un governo di incapaci, di un imminente crollo del PIL, e altri catastrofismi.
La realtà però è assolutamente diversa. Durante i sette trimestri del governo Draghi l’Italia è stata l’unica economia del G7(1) che ha visto aumentare il PIL trimestre su trimestre, arrivando ad una crescita complessiva record di 8,4 punti percentuali. Ben maggiore rispetto a Paesi come Stati Uniti, Francia e Germania.
Le misure adottate da Draghi, e di cui l’Istat ha stimato l’efficacia, comprendono: la riforma Irpef; l’assegno unico e universale per i figli a carico; le indennità una tantum di 200 e 150 euro; i bonus per le bollette elettriche e del gas; l’anticipo della rivalutazione delle pensioni.
Misure che hanno avuto esiti positivi sulla società: una riduzione di 0,8 punti percentuali della disuguaglianza sociale, la riduzione di 1,8 punti percentuali del rischio di povertà (calcolati entrambi sulla base dell’”Indice di Gini (2)”), la ripresa dei consumi con la conseguente crescita del PIL, il contenimento dello spread, il successo della campagna vaccinale, l’impostazione del PNRR alle misure antinflazione.
Questa è l’eredità di Draghi, di fronte alla quale si confrontano le ambizioni della manovra del nuovo governo, da più parti giudicata modesta e dispersiva.
Stessa sorte capitò all’ormai poco gradito Matteo Renzi, attualmente membro permanente del “movimento transpartitico nazionale” per il catastrofismo. Anche in quel caso il movimento si è dato da fare. Nessuna delle politiche economiche avviate dal governo Renzi, e poi proseguite dal suo successore Paolo Gentiloni, sembrava riscuotere consensi nonostante i risultati sul campo dicessero l’esatto contrario. Gli 80 euro in busta paga, l’abolizione della tassa sulla prima casa, il Jobs Act e il Piano Industria 4.0, tanto per citarne alcune, hanno contribuito alla crescita dei consumi nel 2015 dell’1,9%, alla crescita del tasso di occupazione ed al riammodernamento tecnologico delle nostre imprese manifatturiere.
Nel periodo tra il 2014 ed il 2018 gli investimenti in macchinari ed attrezzature aumentarono in termini reali del 29%, quasi il doppio rispetto alla Germania. Va precisato inoltre che se l’industria italiana è riuscita a reggere durante la pandemia e a ripartire velocemente dopo il lockdown, è proprio grazie agli investimenti realizzati negli anni precedenti con i contributi previsti nel Piano Industria 4.0.
La realtà è che tra le promesse roboanti lanciate in campagna elettorale dai partiti del MTN e la reale gestione del Paese, c’è un’abissale differenza. Vedremo se con la manovra appena varata gli attuali governanti, ai quali va il mio più sentito e profondo augurio di un buon lavoro, sapranno fare meglio del governo precedente. Che numeri alla mano di cose buone ne ha fatte.
Note a margine
(1) I membri del G7 sono: Francia, Germania, Italia, Canada, Giappone, Stati Uniti e Regno Unito.
(2) Il coefficiente di Gini è una misura statistica della diseguaglianza che descrive quanto omogenea o diseguale il reddito o la ricchezza sono distribuite tra la popolazione di un paese. Il coefficiente assume un valore tra 0 e 1, ed un coefficiente di Gini più elevato è associato ad una più elevata diseguaglianza.
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